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Recensione del libro “Voce” di Gino Centofante

Recensione del libro “Voce” di Gino Centofante

“Voce” è una raccolta piena di sentimenti, dolore, realtà, riflessione, autoritratti che ti abbracciano e ti trasportano in mondi lontani. Ti legano e ti chiedono di riflettere alle tante situazioni che la vita ci presenta, come se fosse un passante disinteressato e noncurante della tua sorte.

Si passa da “Voce” che racchiude esperienze personali dell’autrice e le tramuta su carta allegoricamente allo scorrere fluido di un fiume a “Scrivere” che personalmente ritengo sia una delle più belle [‘scrivere per comunicare, scrivere per rappresentare la tua vita, scrivere per dare un senso ai tuoi sogni, scrivere anche quando non vuoi…’] alla “Chi sono?” riflessione esistenziale dell’autrice che si finge una foglia che ormai radici non ne ha più; “Limiti” è una sorta di corsa contro l’inafferrabile, l’irraggiungibile, l’estremo potenziale, il superamento dell’Io alla ricerca di un’Oltre; “La fossa” è una ricerca disperata verso il senso dell’esistenza, una risalita dolorosa, doverosa ed efficace per la sua entità; “Neve” mostra le insicurezze dettate dalla scelta di un distacco dalle sue origini, che sono sofferenza e sintomo di continue debolezze e perplessità; “La luna piena” diventa una panacea al dolore, alla precarietà degli affetti tanto lontani, il bianco giustiziere remoto senza remore tanto vero ma tanto egoista; “La tua terra” un omaggio alle radici, al passato, all’amore che oltrepassa le distanze spaziali; “Bulimia” sente forse più di tutte richiami autobiografici, quando l’autrice non si sentiva accettata dagli altri ma soprattutto da se stessa; “8.46” è un omaggio al suo secondo figliolo [‘Le pareti bianche si colorano di vita. Sei tu’] il tutto, il niente, la forza e scintilla vitale quotidiana; “Occhi” è l’istantanea di tanti bambini che rendono autentico questo mondo con i loro sguardi, privi di malignità, tanto attesi e agognati verso una felicità eterea; “Piccola nuvola bianca” vede Francesca musa di sensazione, gesti, riflessioni ricordando ma non scordando la bella Roma; “Ero Bianca” trasuda voglia di evasione, di libertà [‘Ero bianca come la tela sulla quale hai schizzato i tuoi colori’] libertà che si appaga con lo scorrere del tempo; “Il vestito” è un percorso verso la propria identità che si dispiegherà come un dispensatore di memorie su un placido mare freddo e gelido; “Mare nero” diventa farmaco per i dolori e le sofferenze attraverso i tanti granelli che segnano il ticchettio della realtà; “Rosso sangue”una delle poesie più tristi, risente delle delusioni, trasuda sangue dalle ferite che ormai si pensava fossero cicatrizzate, forse poi non così saldamente; “L’odore della tormenta” scava e trascina via, quasi facendosi beffa dei dolori provandone a tratti un’irrefrenabile piacere; “Il silenzio è notte” nostalgica la notte che riporta alla mente sensazioni, odori che ormai si ritenevano quasi sopiti; “Il tuo treno” viaggio verso una destinazione ignota attraverso una fermata che obbliga a la separazione e l’allontanamento; “Briciole” è un elogio all’istantaneità dei momenti; “Nulla” racconta la delusione, la falsa forza, speranza che ha logorato l’anima con un amaro addio; “Castelli di sabbia” ci presenta un amore senza fondamenta, basi, presupposti, anzi forse un amore mai nato, disegno divino dei romantici sognatori; “Anima perfetta” è la speranza di un perfezione utopica, inconsistente, non tangibile, imperfetta attraverso il perdersi; “Solitudine” il ricordo del vuoto, del niente, dello stare soli attraverso la contemplazione; “Amore e psiche” vuol raggiungere una perfezione nelle forme quasi a cercare un appagamento delle passioni, un superamento verso l’opera stessa come Canova, Elisabetta ha cercato una sua intima forma; “I fuochi di Santander” a sentire vivi i volti delle persone, i bimbi che schiamazzano, il suono dei fuochi artificiali che si ripetono nella nostra intima essenza; “Festa de’ Noantri” si sentono le origini Trastevere, Via della Lungaretta, Vicolo del Piede, tutte espressioni di un passato non dimenticato; “Garbatella” si rivedono le piazze, i colori, i profumi, l’aria tanto cara all’autrice, un risveglio dell’anima che non rinnega il suo essere, anzi lo esalta perché le radici in fin dei conti sono il punto di inizio e non fine sia che noi siamo Australiani, Americani o per l’appunto Spagnoli d’adozione. Le due poesie che ho apprezzato di più sono state “Scivere” e “Chi sono?”

Gino Centofante
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