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La notte dei libri con Michela Murgia

 
La notte dei libri con Michela Murgia
Il 23 aprile 2012, nella “Noche de los libros”, per noi italiani di Madrid è stata una serata davvero speciale all’insegna della cultura e dell’umanità. Abbiamo conosciuto Michela Murgia, una scrittrice dei nostri tempi che ci è venuta a presentare i suoi lavori e a parlarci delle sue esperienze di vita presso la Caffetteria“Italiana_Madrid” di Luca Scala e Rosa Carreño, in un ambiente unico nel quale gustare ottimi caffè e aperitivi, immersi nella lettura di buoni libri. Il locale, molto accogliente e gradevole, è stato preparato nei minimi particolari con fiori sui tavolini e con le giuste luci per rendere il luogo ancor più propizio alla conversazione.
Michela Murgia è una scrittrice che, nell’arco di poco tempo, è riuscita a inserirsi con voce propria nel panorama letterario italiano e nella “Notte dei libri” indetta dall’UNESCO, abbiamo avuto la fortuna di conoscerla anche in una veste diversa.
La serata ha inizio con Luca Scala, il proprietario, che ci presenta la scrittrice attraverso la narrazione di  una sua rapida biografia. La prima cosa che ci colpisce è l’estrema semplicità e affabilità di Michela Murgia che esordisce dicendo che lei è entrata di diritto nell’età “adulta”, in quanto “Dopo i venticinque anni tutti abbiamo il diritto a essere definiti adulti”.
Michela Murgia è di Cabras, un paese nella provincia di Cagliari in Sardegna. È amante del computer e di tutto ciò che concerne le relazioni sociali che si intrattengono tramite internet. Difatti salta molti passaggi nelle intermediazioni con il suo pubblico: è la stessa scrittrice che manda avanti il suo blog, le sue pagine di Facebook esponendo le sue idee e la sua vita attraverso commenti e pensieri.
Nella sua biografia si può leggere che ha fatto studi teologici, che non le piacciono i “cadaveri morti” dei fiori tagliati, che è vegetariana e che non le piacciono gli editori a pagamento. Dice di sè che “tutto nella vita ha un senso ed essere sposata mi ha fatto diventare una persona più trattabile”
Ha esordito nel 2006. Non aveva scritto mai prima di allora, neanche un pensiero su un foglio di un quaderno. Ha insegnato religione presso le scuole. Ha lavorato anche come disegnatrice di web e ha lavorato in un hotel come portiere notturno. Facendo questo lavoro si è resa conto che stancarsi le “dava” moltissimo. 
Poi ha preso la parola la scrittrice, iniziando a spiegarci il suo lavoro, intrecciandolo ad aneddoti e a stralci della propria vita.
“Tutti a casa mia facevano lavori manuali, perché il lavoro è lavoro. Sono figlia di generazioni che si guadagnavano il pane lavorando con le mani. Mio nonno era minatore, l’altro mio nonno era pescatore, mio padre era artigiano e lavorava il legno. Musica, scrittura, televisione non sono lavori ma sono simpatici hobby che si fanno dopo aver lavorato, perché prima si lavora manualmente e poi si pensa al resto. Mia madre a tutt’oggi, quando le chiedono che lavoro fa tua figlia, riponde: niente, scrive”.
Ci racconta anche di come, lavorando al Call center della Kirby, una multinazionale che produce aspirapolveri, sia nato il suo primo libro, di come si sia resa conto di quanto quella realtà fosse alienante, di quanto si truffasse il mondo, di come tutto in quel posto lì le faceva perdere se stessa. Si sentiva impotente, perché se parlava l’avrebbero licenziata e avrebbe perso il lavoro. Per questo decise di aprire con uno pseudonimo un blog chiamandolo provocatoriamente Il mondo deve sapere. In quel blog inseriva minimo due-tre post al giorno e, dopo due settimane dall’apertura dello stesso si rese conto di quanti in Italia vivessero la sua stessa situazione. Svegliò l’interesse dell’Italia intera e si fecero avanti sia i sindacati che la televisione che la volevano per testimoniare sul caso Kirby. Declinò l’invito fin quando  un piccolo editore, leggendo i suoi post e i vari commenti mostrò l’ intenzione di pubblicare per intero il primo mese di vita del suo blog. Non voleva comparire con il suo nome, in quanto sarebbe stata denunciata. Ma la casa editrice fece un gesto molto coraggioso, un gesto che non fa nessun editore: le firmò una dichiarazione di manleva, sollevandola da ogni responsabilità nelle eventuali denunce. Così accettò e pubblicò il suo primo libro intitolato come il suo blog Il mondo deve sapere che ha venduto molte più copie di quelle sperate e addirittura Paolo Virzì ne comprò i diritti facendone una trasposizione cinematografica.

Dopo la Kirby ha lavorato come portiere di notte ma non le volevano affidare l’incarico perché era donna. Insistette alcune settimane per far comprendere loro che sarbbe stata “un uomo molto convincente”. Volevano affidarle una scacciacani, ma non la voleva perché non l’avrebbe mai usata. Il patto finale fu che le diedero un bastone di legno di pero con il quale intervenire in caso di pericolo. Sempre grazie al primo libro, la Scuola Holden le propose di partecipare a un concorso che si chiamava “Esordire”. Questo concorso consisteva nello scrivere cinque pagine di un racconto. Il premio era costituito da 1000€. I partecipanti erano quaranta e trentacinque di questi avevano frequentato la Scuola Holden mentre lei, invece, aveva fatto la Scuola Kirby. Ma non aveva mai scritto nulla e nel cassetto aveva solo ed esclusivamente il suo bastone di pero, non una storia come si aspettavano da lei. Così, di notte, mentre faceva il suo mestiere di portiere scrisse le prime cinque pagine di Accabadora che all’epoca non era in progetto. E vinse. In giuria c’erano i rappresentanti delle edizioni Einaudi che volevano pubblicare il libro, ma il libro in realtà non c’era e quindi decise di proseguirlo. Di notte, mentre lavorava nacque  Accabadora. Il primo libro nacque in un mese, ma Accabadora nacque in tre anni. “Scrivere è lavoro e disciplina verso te stesso. Costruisci, rileggi dopo un mese e se vedi che non funziona allora lo butti, mentre se vedi che funziona allora lo lasci perché è buono”.

Michela Murgia ci ha dato anche una visione del mondo dello scrittore e di come si svolge il suo lavoro, della relazione esistente tra lei e l’editor, in quanto “sfogli e risfogli e non ti accorgi che una parola-chiave del libro l’hai scritta per più di quaranta volte, che sei ossessionata da quella parola. In pratica cosa significa chiudere un editing? Significa pulizia. E’ come la pulizia dei denti. I denti sono sempre i tuoi, ma dopo la pulizia brillano”. Ci ha anche parlato della relazione esistente tra lei e la scrittura, svelandoci il segreto che non riesce a scrivere “se non dentro una relazione e la narrazione presuppone non il computer, ma l’orecchio”. Per tale motivo ci ha detto che essendo nata scrittrice passando dall’essere blogger continua a desiderare che i suoi amici partecipino attivamente alla scrittura dei suoi libri. “Ora non inserisco sul blog stralci dei libri che sto scrivendo, ma li mando per e-mail ai miei amici per poi riceverne un feedback che puntualmente arriva come voglio io”.
E così, mentre trascorre la piacevole serata inizia la descrizione dei suoi pensieri sul libro che l’ha portata alla ribalta Accabadorafacendoci presente come, dalla realtà degli anni ’50, siano cambiate tante cose e tra queste anche la relazione con la morte: “Il tavolo da pranzo che vedeva nascere era anche quello che accoglieva la morte. Ora c’è un altro posto nel quale si viene curati e guariti, c’è l’ospedale. La situazione è molto migliorata ma non dal punto di vista umano e familiare. Oggi la vita e la morte sono molto più asettiche”.
Accabadora deriva dal verbo spagnolo acabar, ovvero è colei che finisce. Ma non è eutanasia, è solo un gesto estremo che porta alla fine i tormenti di una vita. Non ci sono prove scritte della sua esistenza, è quindi una figura leggendaria, una figura antropologicamente interessante, in quanto anche se non è esistita è importante che un popolo l’abbia almeno pensata.
Avrebbe preferito che il suo libro piuttosto che svegliare interessi inerenti l’eutanasia, avrebbe dato adito a un dibattito inerente il rapporto di rispetto esistente tra Tzia Bonaria e Maria, la bimba fill’e anima. In Sardegna esiste questa figura della fill’e anima. Anche Michela Murgia all’età di diciassette anni è diventata una fill’e anima. In genere, sono i genitori naturali a decidere di far diventare fill’e anima di un’altra famiglia il loro figlio per offrirgli possibilità diverse per emergere nella vita. Pertanto, nel libro si affronta anche un problema complesso quale la maternità biologica e la maternità scelta.  Una fill’e anima cambia famiglia ma non perde quella naturale. In Accabadora Tzia Bonaria esercita su Maria una maternità che non è solo vita, ma è anche morte. Prossimamente ci sarà la trasposizione cinematografica  di Accabadora, la cui protagonista sarà l’attrice spagnola Angela Molina..
Ave Mary, invece, è un saggio teologico nel quale si parla della donna e nel quale torna il tema della morte che è differente se è una morte maschile o femminile. Il femminismo negli anni ’70 ha lottato moltissimo in merito ad argomenti quali i rapporti sessuali, le gravidanze, gli aborti, ma è stato tracurato il rapporto tra la morte e la donna. Il corteggiamento tra uomo e donna ha un sottotesto di morte, in quanto l’uomo è cacciatore e la donna è preda. Ma il cacciatore, però insegue la preda per spararle e il fine della caccia è la morte della preda. Il cacciatore e la preda stanno su piani differenti. La scomparsa delle forme fisiche di Maria è un’altro evento che fa riflettere. Da Caravaggio all’immagine della Madonna di Lourdes possiamo notare come l’immagine di Maria sia notevolmente cambiata. Ora la Madonna si fa suora, mentre prima era colorata, prima veniva esaltata la sua femminilità. Caravaggio dipingeva Maria ispirandosi alle prostitute che frequentava e pertanto avevano acconciature tipiche dell’epoca. La Madonna è diventata sempre più un’icona, è diventata sempre più Madonna e sempre meno Maria.
Infine ci parla dell’ultimo suo libro L’incontro che uscirà a giugno e nel quale scrive del suo paese, Cabras. Nel 1986 Cabras aveva 10.000 abitanti. Il vescovo decise di fondare un’altra parrocchia. In questo modo la comunità si spaccò e il cosidetto concetto del NOI della comunità di paese si frantumò. Così si ritrovarono la Chiesa di Santa Maria contro quella del Sacro Cuore. Il paese si divise. Arrivò la Pasqua e la tradizione era quella di una processione nella quale la statua di Gesù doveva incontrarsi con quella della Madonna per le strade del paese. Ma cosa sarebbe avvenuto con due parrocchie? Le processioni si sarebbero fatte in contemporanea? Ci sarebbero stati due Gesù con due Madonne in giro per il paese e quale sarebbe stato il percorso seguito da ognuno di questi cortei? Non poteva essere di certo lo stesso. Quale delle due processioni avrebbe prevalso sull’altra e quale avrebbe dato maggior spettacolo?
“E’ stata una vicenda del tutto grottesca, una vicenda che non vedo l’ora che esca affinché la leggano nel mio Paese.  Tutti i bambini nel mio paese parlano al plurale NOI. Ma vista la spaccatura che si è creata con “L’incontro” da quel momento in poi hanno imparato anche a parlare in modo individuaule. E’  l’evoluzione del presente plurale alla fine del racconto. Grazie a tutti per aver partecipato”.
E grazie a te, Michela per averci regalato i tuoi ricordi di una vita ricca e piena di interessi.
Molto gentile nel farsi foto e nell’autografare i suoi libri, la saluto con cordialità e me ne vado per la Gran Vía di Madrid illuminata e piena di bancarelle di libri, di librerie aperte alle undici di notte, di persone con in mano un libro e una rosa, come da tradizione.
¡Hasta la próxima!
 Elisabetta Bagli

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